Se nell’arte il colore è essenzialmente presente poiché è un elemento proprio del dipinto, nella letteratura viene utilizzato per generare legami e corrispondenze tra i sensi, con il potere di creare nella mente del lettore immagini variopinte, evocate dai componimenti.
Il tema dei colori in letteratura è molto sviluppato, poiché essi sono la chiave di lettura che apre la porta all’intimo degli scrittori: ai colori i poeti affidano stati d’animo, sensazioni, ricordi e desideri. L'autore che ho scelto per illustrare questo tema è Eugenio Montale, autore de I Limoni.
Il tema dei colori in letteratura è molto sviluppato, poiché essi sono la chiave di lettura che apre la porta all’intimo degli scrittori: ai colori i poeti affidano stati d’animo, sensazioni, ricordi e desideri. L'autore che ho scelto per illustrare questo tema è Eugenio Montale, autore de I Limoni.
Biografia
Eugenio Montale nacque a Genova, il 12 ottobre 1896.
Inizia gli studi all'istituto "Vittorino Da Feltre", sebbene per lui vengano preferiti, a causa della sua salute precaria, i più brevi studi tecnici in luogo di quelli classici e venga dunque iscritto nel 1915 all'istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele", dove si diplomerà in ragioneria, il giovane Montale ha la possibilità di coltivare i propri interessi prevalentemente letterari, frequentando le biblioteche cittadine.
La sua formazione è dunque quella tipica dell'autodidatta, che scopre interessi e vocazione attraverso un percorso libero da condizionamenti. Letteratura e lingue straniere sono il terreno in cui getta le prime radici la sua formazione e il suo immaginario, assieme al panorama, ancora intatto, della Riviera ligure di levante: Monterosso al Mare e le Cinque Terre, dove la famiglia trascorre le vacanze.
«Scabri ed essenziali», come egli definì la sua stessa terra, gli anni della giovinezza delimitano in Montale una visione del mondo in cui prevalgono i sentimenti privati e l'osservazione profonda e minuziosa delle poche cose che lo circondano – la natura mediterranea e le donne della famiglia. Ma quel "piccolo mondo" è sorretto intellettualmente da una vena linguistica nutrita di queste lunghe letture, finalizzate soprattutto al piacere della conoscenza e della scoperta.
Entrato all'Accademia militare di Parma, fa richiesta di essere inviato al fronte, e dopo una breve esperienza bellica viene congedato nel 1920.
Negli anni tra il '19 e il '23, conosce a Monterosso Anna degli Uberti (1904-1959), protagonista femminile in un insieme di poesie montaliane, trasversali nelle varie opere, note come "ciclo di Arletta".
È il momento dell'affermazione del fascismo, dal quale Montale prende subito le distanze sottoscrivendo nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.
Montale giunge a Firenze nel 1927 per il lavoro di redattore ottenuto presso l'editore Bemporad.
Dopo l'edizione degli Ossi di Seppia del 1925, nel 1929 è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux (ne sarà espulso nel 1938 per la mancata iscrizione al partito fascista); nel frattempo collabora alla rivista Solaria, frequenta i ritrovi letterari del caffè Le Giubbe Rosse e scrive per quasi tutte le nuove riviste letterarie che nascono e muoiono in quegli anni di ricerca poetica. In questo contesto prova anche l'arte pittorica imparando dal Maestro Elio Romano l'impasto dei colori e l'uso dei pennelli.
Fino al 1948, l'anno del trasferimento a Milano, egli pubblica Le occasioni e le prime liriche di quelle che formeranno La bufera e altro che uscirà nel 1956.
Le ultime raccolte di versi, Xenia (1966), dedicata alla moglie Drusilla Tanzi, Satura (1971) e Diario del '71 e del '72 (1973), testimoniano in modo definitivo il distacco del poeta - ironico e mai amaro - dalla Vita con la maiuscola. Montale è anche stato oggetto di riconoscimenti ufficiali: lauree honoris causa nomina a senatore a vita nel 1967 per i meriti in campo letterario e premio Nobel nel '75.
Morì a Milano la sera del 12 settembre 1981, un mese prima di compiere 85 anni.
La poetica e il pensiero
Montale ha scritto relativamente poco: quattro raccolte di brevi liriche, un "quaderno" di traduzioni di poesia e vari libri di traduzioni in prosa, due volumi di critica letteraria e uno di prose di fantasia. A ciò si aggiungono gli articoli della collaborazione al Corriere della sera. Il quadro è perfettamente coerente con l'esperienza del mondo così come si costituisce nel suo animo negli anni di formazione, che sono poi quelli in cui vedono la luce le liriche della raccolta Ossi di seppia.
La poesia è per Montale principalmente strumento e testimonianza dell'indagine sulla condizione esistenziale dell'uomo moderno, in cerca di un assoluto che è però inconoscibile. Tale concezione poetica – approfondita negli anni della maturità, ma mai rinnegata – non attribuisce alla poesia uno specifico ruolo di elevazione spirituale; anzi, Montale al suo lettore dice di "non chiedere la parola", non "domandare" la "formula" che possa aprire nuovi mondi. Il poeta può solo dire "ciò che non siamo": è la negatività esistenziale vissuta dall'uomo novecentesco dilaniato dal divenire storico.
Montale fa un ampio uso di idee, di emozioni e di sensazioni indefinite. Egli cerca una soluzione simbolica in cui la realtà dell'esperienza diventa una testimonianza di vita. Proprio in alcune di queste immagini il poeta crede di trovare una risposta, una soluzione al problema del "male di vivere": ad esempio, il mare (in Ossi di seppia) o alcune figure di donne che sono state importanti nella sua vita.
La poesia di Montale assume dunque il valore di testimonianza e un preciso significato morale: Montale esalta lo stoicismo etico di chi compie in qualsiasi situazione storica e politica il proprio dovere. Rispetto a questa visione, la poesia si pone per Montale come espressione profonda e personale della propria ricerca di dignità e del tentativo più alto di comunicare fra gli uomini. L'opera di Montale è, infatti, sempre sorretta da un'intima esigenza di moralità, ma priva di qualunque intenzione moralistica: il poeta non si propone come guida spirituale o morale per gli altri; attraverso la poesia egli tenta di esprimere la necessità dell'individuo di vivere nel mondo accogliendo con dignità la propria fragilità, incompiutezza, debolezza.
Montale non credeva all'esistenza di «leggi immutabili e fisse» che regolassero l'esistenza dell'uomo e della natura; da qui deriva la sua coerente sfiducia in qualsiasi teoria filosofica, religiosa, ideologica che avesse la pretesa di dare un inquadramento generale e definitivo, la sua diffidenza verso coloro che proclamavano fedi sicure. Per il poeta la realtà è segnata da una insanabile frattura fra l'individuo e il mondo, che provoca un senso di frustrazione e di estraneità, un malessere esistenziale. Questa condizione umana è, secondo Montale, impossibile da sanare se non in momenti eccezionali, veri stati di grazia istantanei che Montale definisce miracoli, gli eventi prodigiosi in cui si rivela la verità delle cose, il senso nascosto dell'esistenza.
Alcuni caratteri fondamentali del linguaggio poetico montaliano sono i simboli: nella poesia di Montale compaiono oggetti che tornano e rimbalzano da un testo all'altro e assumono il valore di simboli della condizione umana, segnata, secondo il poeta, dal malessere esistenziale, e dall'attesa di un avvenimento, un miracolo, che riscatti questa condizione rivelando il senso e il significato della vita.
Montale fa un ampio uso di idee, di emozioni e di sensazioni indefinite. Egli cerca una soluzione simbolica in cui la realtà dell'esperienza diventa una testimonianza di vita. Proprio in alcune di queste immagini il poeta crede di trovare una risposta, una soluzione al problema del "male di vivere": ad esempio, il mare (in Ossi di seppia) o alcune figure di donne che sono state importanti nella sua vita.
La poesia di Montale assume dunque il valore di testimonianza e un preciso significato morale: Montale esalta lo stoicismo etico di chi compie in qualsiasi situazione storica e politica il proprio dovere. Rispetto a questa visione, la poesia si pone per Montale come espressione profonda e personale della propria ricerca di dignità e del tentativo più alto di comunicare fra gli uomini. L'opera di Montale è, infatti, sempre sorretta da un'intima esigenza di moralità, ma priva di qualunque intenzione moralistica: il poeta non si propone come guida spirituale o morale per gli altri; attraverso la poesia egli tenta di esprimere la necessità dell'individuo di vivere nel mondo accogliendo con dignità la propria fragilità, incompiutezza, debolezza.
Montale non credeva all'esistenza di «leggi immutabili e fisse» che regolassero l'esistenza dell'uomo e della natura; da qui deriva la sua coerente sfiducia in qualsiasi teoria filosofica, religiosa, ideologica che avesse la pretesa di dare un inquadramento generale e definitivo, la sua diffidenza verso coloro che proclamavano fedi sicure. Per il poeta la realtà è segnata da una insanabile frattura fra l'individuo e il mondo, che provoca un senso di frustrazione e di estraneità, un malessere esistenziale. Questa condizione umana è, secondo Montale, impossibile da sanare se non in momenti eccezionali, veri stati di grazia istantanei che Montale definisce miracoli, gli eventi prodigiosi in cui si rivela la verità delle cose, il senso nascosto dell'esistenza.
Alcuni caratteri fondamentali del linguaggio poetico montaliano sono i simboli: nella poesia di Montale compaiono oggetti che tornano e rimbalzano da un testo all'altro e assumono il valore di simboli della condizione umana, segnata, secondo il poeta, dal malessere esistenziale, e dall'attesa di un avvenimento, un miracolo, che riscatti questa condizione rivelando il senso e il significato della vita.
I Limoni
“I limoni”, componimento appartenente alla raccolta “Ossi di Seppia”, è ciò che meglio rappresenta la poetica delle cose montaliana. Lo si può notare infatti già dal titolo della lirica.
Montale collega l’immagine dei limoni alla vita dell’uomo: innanzitutto il termine rimanda al colore giallo, acceso e vivace, e quindi emblema di una vita solare e allegra; d’altra parte però, il limone è uno degli agrumi più aspri. L’asprezza infatti è una delle caratteristiche delle vita dell’uomo, per come è vista da Montale, nella sua condizione di aridità, pervasa dal male di vivere.
Il limone però rimanda ad un altro elemento, ossia alla poetica delle cose concrete, reali e della vita quotidiana, che tutti possono cogliere. Infatti, Montale critica nella prima strofa l’atteggiamento dei poeti laureati, i quali utilizzando un linguaggio aulico e distaccato dal popolo, si ergono nella difficoltà della loro parola:
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piantedai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Essi si muovono in realtà “fra piante dai nomi poco usati”, a differenza del nostro autore, il quale sceglie una pianta che tutti conoscono, la semplice pianta del limone, alla quale tutti possono alludere. Il poeta si muove tra pozzanghere e ragazzi che giocano, tra vie contorte e orti … insomma, il nostro autore predilige la vita quotidiana a quella elevata dei poeti con l’alloro, e si rivolge in modo colloquiale direttamente al sue lettore, posto nella sua stessa situazione.
La natura descritta, è una natura in continuo movimento, tangibile e animata, ma che resta costantemente legata alla sua dimensione terrena, come “i sensi di quest’odore che non sa staccarsi da terra”.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall' azzurro:
piú chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell' aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest' odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed é l' odore dei limoni.
L’azzurro appare ancora lontano, e solo agli uccelli è concesso arrivarci. Ma è solo in questa realtà brulla e terrena che all’uomo è concessa un po’ di pace e di serenità, ora che tace la guerra. La ricchezza che al pover’uomo è concessa e della quale si accontenta, è l’umile “odore di limone”, lontano dalle ricchezze auliche e ricercate.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s' abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l' anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Le cose attorno a noi a volte sembrano quasi volersi abbandonare, e pronte a rivelare il loro intimo segreto, capace di farci accedere al senso ultimo della vita, ed è come se cercassimo quella verità che ci lega alle cose e agli altri.
Lo sguardo fruga d' intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità
Ed è proprio nella Natura stessa che si cerca un appiglio per andare avanti: l’operazione appare quanto mai affannosa, frugando in ogni cosa attorno a noi. Ma quando finalmente giungiamo alla verità, ci rendiamo conto che anche le stesse epifanie donateci dalle cose, le divinità che abbiamo creato per farci coraggio ed andare avanti, sono ingannevoli, e non esistono che nel nostro intimo.
Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l' azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s' affolta
il tedio dell' inverno sulle case,
la luce si fa avara - amara l' anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d' oro della solarità.
E quando l’illusione finisce, si ritorna nelle città rumorose e caotiche, con l’azzurro del cielo che sovrasta il tutto. Ma quest’immagine è la perdita di ogni speranza: l’azzurro si mostra solo a pezzi, la pioggia continua affatica la terra e la noia dell’inverno sembra quasi soffocare le case. Con l’inverno la luce scarseggia, ma è proprio quell’immagine colorata e allegra di un limone, che scioglie il gelo nel cuore e che ridà all’uomo la felicità che sta cercando. Solo cercandola nelle piccole cose di tutti i giorni, l’uomo potrà tornare a sperare in una vita migliore.
È questa infatti, una delle poche poesie di Montale a cui si possa attribuire, alla fine, un significato e un messaggio positivi, in quanto lasciano aperta una prospettiva di speranza; ma la speranza consiste unicamente, per Montale, nell'estrema riduzione dell'oggetto del desiderio, in un elemento povero e comune, su cui concentrare, simbolicamente, le certezze limitate di una temporanea gioia.
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